Quale luce in fondo al tunnel

Salman Masalha

Quale luce in fondo al tunnel

Tranquilli. Ciò che è accaduto in Tunisia non è destinato a ripetersi tanto presto in altri stati arabi. Il rovesciamento di un dittatore ad opera di una rivolta popolare porta effettivamente una ventata di aria fresca, e forse persino un raggio di speranza a tanti, in questa parte del mondo. Ma c’è ancora molta strada da fare prima che si possa celebrare l’avvento della democrazia.

Innanzitutto bisogna aspettare di vedere se in Tunisia, fra due mesi, si terranno davvero elezioni democratiche, e non con un solo candidato alla presidenza e un solo partito. Altrimenti tutto resterà come prima. In secondo luogo, la Tunisia non è uguale agli altri stati arabi che stanno più a est, perché la sua popolazione è al 99% musulmana sunnita.

Pertanto chiunque si immagini qualcosa di simile allo scenario tunisino in altri paesi arabi sta solo fantasticando: significa non capire le forze che sono effettivamente in campo e non tenere in considerazione le strutture etniche, religiose e statali di quei paesi. Sin dal ritiro delle potenze coloniali, il mondo arabo non è riuscito ad edificare un solo stato-nazione degno di questo nome. Lo stato dell’Iraq, ad esempio, non ha dato vita a un popolo iracheno, né lo stato di Siria ha creato un popolo siriano. In entrambi questi paesi, la dittatura è stata il solo collante che ha tenuto insieme tutti i pezzi del puzzle religioso, etnico e tribale. Quando la dittatura in Iraq è crollata, l’intera entità irachena è andata in frantumi.

Uno scenario alla tunisina è impossibile in stati composti da una raccolta di tribù e comunità religiose, e governati da regimi tribali che si comportano secondo antiche tradizioni repressive. Una sollevazione popolare in luoghi come quelli pone una minaccia vitale al regime tribale e confessionale, per cui fatalmente il regime scatenerà un bagno di sangue contro i ribelli prima di cedere il passo a un altro regime repressivo.

Il fallimento del nazionalismo arabo nel creare uno stato-nazione civile degno di questo nome è ciò che ha portato all’ascesa dell’islamismo. Che però è solo un miraggio, che si richiama a un distante passato. La nostalgia per il passato “glorioso” è l’espressione più evidente dell’inettitudine di queste società nel presente. L’arretratezza del mondo arabo si manifesta ad ogni livello: nell’istruzione, nella sanità, nella disoccupazione crescente, nella dilagante corruzione governativa.

In questo mondo non c’è creatività in alcun campo. È un mondo di stridente consumismo senza alcuna speranza all’orizzonte. È un mondo in cui i governanti, nei loro ultimi giorni, lasciano in eredità il regime, e il suo sistema di corruzione, ai loro figli che molto probabilmente continueranno la repressione e la corruzione dei padri fino al successivo sanguinoso cambio di regime, e poi ancora al successivo.

Ma il mondo arabo ha una spiegazione pronta per tutti i suoi guai: un complotto ebraico, sionista e imperialista. Fra le manifestazioni di questo complotto, la diffusione di chewing-gum che provocano eccitazione sessuale nelle donne, la volontà di corrompere la cultura e la società arabe, l’invio di squali aizzati contro i turisti sulle coste del Sinai per distruggere l’industria egiziana del turismo, e via di questo passo. La diffusione di leggende infantili come queste è una sorta di oppio per le masse ignoranti che si bevono il “complotto sionista” e cadono in uno stato di torpore. Nel mondo arabo, l’effetto ipnotico del complotto sionista offre un modo facile e sicuro per evitare di affrontare sul serio i problemi al proprio interno.

Disastri e fallimenti non possono innescare un autentico dibattito, e le ragioni di ciò sono strutturali, radicate nella cultura arabo-islamica: giacché, a differenza di altre culture, la cultura islamica non ha creato meccanismi di autocritica. Non c’è una sola tradizione attribuita al profeta Maometto che chieda al credente musulmano di impegnarsi in un’autocritica. L’assenza di questo principio è la radice dei problemi di questa società, giacché in una cultura l’autocritica è il meccanismo che rende possibili le correzioni. Senza tale meccanismo, non è possibile nessuna correzione. Ed ecco perché è così difficile intravedere una qualche luce alla fine del tunnel.
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