Les Etats-Unis ne sont pas intéressés par la paix au Moyen Orient

L'administration américaine veut la région en flammes pour pouvoir la contrôler
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Salman Masalha

Les Etats-Unis ne sont pas intéressés
par la paix au Moyen Orient

On doit le dire explicitement: les Etats-Unis ne sont pas intéressés par obtenir la paix au Moyen Orient. La paix dans la région n'est pas une priorité majeure pour eux, et n'a jamais correspondu à leurs intérêts. Cela peut paraître surprenant pour quelqu'un qui ne sent pas l'ambiance qui prévaut dans cette région.

Quiconque pense que la chaîne arabe de télévision al Jazeera est le porte parole de l'Islam radical et met en danger les intérêts américains est invité à rafraîchir sa mémoire et mettre à jour son imagination. Parce que l'Islam radical a été encouragé par les diverses administrations américaines.

On doit répondre à une seule question: comment cette chaîne populiste a été hébergée par le minuscule émirat du Qatar et pas ailleurs ? On sait que la plus grande base aérienne des Etats-Unis au Moyen Orient se trouve au Qatar. Wikileaks a révélé que c'est de là que partent les missions de bombardement de l'Irak et de l'Afghanistan et le Qatar a offert son territoire comme base d'attaque de l'Iran, a exprimé son souhait de prendre part à un éventuel conflit contre l'Iran, et offrant de prendre en charge tous les coûts de la base.

De plus dans un entretien avec le sénateur John Kerry, début 2010, l'émir sheikh al Thani a même exprimé sa compréhension de la position d'Israël et des sentiments israéliens, le peuple d'Israël ne pouvant être blâmé de ne pas faire confiance aux Arabes, ayant vécu sous la menace arabe si longtemps. De même Shimon Peres, Tsipi Livni et d'autres dirigeants israéliens ont été royalement reçus (1).

Ces visites et les relations avec Israël n'ont jamais été rapportées par al Jazeera. En même temps, cette chaîne continue de dénoncer d'autres régimes arabes pour leurs relations avec Israël. Bizarre? Pas nécessairement.

Toutes les vidéos de Ben Laden sont diffusées par al Jazeera. Car la chaîne a un rôle précis: déstabiliser les régimes arabes et créer une situation de chaos, ce qui est exactement l'objectif des Américains qui veulent cette région en flammes pour la contrôler.

Les flammes du Moyen Orient servent les intérêts de l'économie américaine. Il suffit de mentionner le contrat de fournitures d'armes à l'Arabie pour 60 milliards $, le plus gros contrat de l'histoire militaire. Ceci permettra de créer des milliers d'emplois.

La tension continue au Moyen Orient alimente l'industrie de la guerre et crée des emplois. D'où l'intérêt américain d'enflammer les passions – à travers al Jazeera par exemple – et de miner les régimes arabes, dont l'existence dépend du soutien américain. La fourniture d'armes pour les soutenir et les conflits sont surtout mus par la nécessité de survie des industries américaines.

Ainsi c'est la raison pour laquelle la Maison Blanche ne fait aucun effort sérieux pour promouvoir la paix entre Israël et ses voisins. Al Jazeera est un outil entre les mains des pyromanes.

Voilà la doctrine américaine en bref. Le problème c'est que ce "golem" peut se retourner contre son inventeur et nous assistons au déroulement de cet épisode.
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Haarets du 10 février 2011

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Quale luce in fondo al tunnel

Salman Masalha

Quale luce in fondo al tunnel

Tranquilli. Ciò che è accaduto in Tunisia non è destinato a ripetersi tanto presto in altri stati arabi. Il rovesciamento di un dittatore ad opera di una rivolta popolare porta effettivamente una ventata di aria fresca, e forse persino un raggio di speranza a tanti, in questa parte del mondo. Ma c’è ancora molta strada da fare prima che si possa celebrare l’avvento della democrazia.

Innanzitutto bisogna aspettare di vedere se in Tunisia, fra due mesi, si terranno davvero elezioni democratiche, e non con un solo candidato alla presidenza e un solo partito. Altrimenti tutto resterà come prima. In secondo luogo, la Tunisia non è uguale agli altri stati arabi che stanno più a est, perché la sua popolazione è al 99% musulmana sunnita.

Pertanto chiunque si immagini qualcosa di simile allo scenario tunisino in altri paesi arabi sta solo fantasticando: significa non capire le forze che sono effettivamente in campo e non tenere in considerazione le strutture etniche, religiose e statali di quei paesi. Sin dal ritiro delle potenze coloniali, il mondo arabo non è riuscito ad edificare un solo stato-nazione degno di questo nome. Lo stato dell’Iraq, ad esempio, non ha dato vita a un popolo iracheno, né lo stato di Siria ha creato un popolo siriano. In entrambi questi paesi, la dittatura è stata il solo collante che ha tenuto insieme tutti i pezzi del puzzle religioso, etnico e tribale. Quando la dittatura in Iraq è crollata, l’intera entità irachena è andata in frantumi.

Uno scenario alla tunisina è impossibile in stati composti da una raccolta di tribù e comunità religiose, e governati da regimi tribali che si comportano secondo antiche tradizioni repressive. Una sollevazione popolare in luoghi come quelli pone una minaccia vitale al regime tribale e confessionale, per cui fatalmente il regime scatenerà un bagno di sangue contro i ribelli prima di cedere il passo a un altro regime repressivo.

Il fallimento del nazionalismo arabo nel creare uno stato-nazione civile degno di questo nome è ciò che ha portato all’ascesa dell’islamismo. Che però è solo un miraggio, che si richiama a un distante passato. La nostalgia per il passato “glorioso” è l’espressione più evidente dell’inettitudine di queste società nel presente. L’arretratezza del mondo arabo si manifesta ad ogni livello: nell’istruzione, nella sanità, nella disoccupazione crescente, nella dilagante corruzione governativa.

In questo mondo non c’è creatività in alcun campo. È un mondo di stridente consumismo senza alcuna speranza all’orizzonte. È un mondo in cui i governanti, nei loro ultimi giorni, lasciano in eredità il regime, e il suo sistema di corruzione, ai loro figli che molto probabilmente continueranno la repressione e la corruzione dei padri fino al successivo sanguinoso cambio di regime, e poi ancora al successivo.

Ma il mondo arabo ha una spiegazione pronta per tutti i suoi guai: un complotto ebraico, sionista e imperialista. Fra le manifestazioni di questo complotto, la diffusione di chewing-gum che provocano eccitazione sessuale nelle donne, la volontà di corrompere la cultura e la società arabe, l’invio di squali aizzati contro i turisti sulle coste del Sinai per distruggere l’industria egiziana del turismo, e via di questo passo. La diffusione di leggende infantili come queste è una sorta di oppio per le masse ignoranti che si bevono il “complotto sionista” e cadono in uno stato di torpore. Nel mondo arabo, l’effetto ipnotico del complotto sionista offre un modo facile e sicuro per evitare di affrontare sul serio i problemi al proprio interno.

Disastri e fallimenti non possono innescare un autentico dibattito, e le ragioni di ciò sono strutturali, radicate nella cultura arabo-islamica: giacché, a differenza di altre culture, la cultura islamica non ha creato meccanismi di autocritica. Non c’è una sola tradizione attribuita al profeta Maometto che chieda al credente musulmano di impegnarsi in un’autocritica. L’assenza di questo principio è la radice dei problemi di questa società, giacché in una cultura l’autocritica è il meccanismo che rende possibili le correzioni. Senza tale meccanismo, non è possibile nessuna correzione. Ed ecco perché è così difficile intravedere una qualche luce alla fine del tunnel.
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    Quale luce in fondo al tunnel

    Tranquilli. Ciò che è accaduto in Tunisia non è destinato a ripetersi tanto presto in altri stati arabi. Il rovesciamento di un dittatore ad opera di una rivolta popolare porta effettivamente una ventata di aria fresca, e forse persino un raggio di speranza a tanti, in questa parte del mondo.



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    Sekian lama Amir tidak pernah ketawa sekeras itu, dan sudah tentulah selama ini dia tidak pernah tertawa sebegitu pada ketika mendengar satu pengumuman dari Komander Dalam Negeri.


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    The vicissitudes that have, for some reason, been collectively dubbed the "Arab Spring" are neither Arab nor Spring. One can say that they are actually living proof of the identity crisis and reverberating bankruptcy of Arab nationalism.

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